Quarantasei anni fa la nazionale della DDR batteva la Germania federale in una delle partite simbolo dell’intreccio tra sport e politica del Novecento.
E quella di Amburgo – tra l’altro città culla del movimento operaio tedesco – non è una delle varie vittorie di Davide contro Golia, una curiosità tecnica per fissati, tanto da non poter essere oscurata, nella memoria, nemmeno dalla successiva vittoria della coppa del mondo (sportiva e metaforica) da parte dell’Ovest.
- “Sì va be’, hanno perso a posta, il girone successivo, per i secondi, era molto più facile”.
Stronzate. Era il 1974 per tutti e la Guerra Fredda c’era per tutti, non solo non volevano perdere, volevano stravincere per dimostrare che, almeno calcisticamente, di paese ce n’era uno solo.
E poi l’allenatore dei Bianchi era un Ossi, scappato. Viveva per vincere quella partita, per umiliarli.
I Bianchi giocavano in casa e dovevano dimostrare che il loro modello era l’unico possibile; seppellirli di gol era il modo per dimostrare che l’esistenza degli altri era un incidente burocratico.
- “Sì va be’, ma sai come andavano queste cose, un aiutino chimico…”
Ma riguardate la partita. Nessuna superiorità fisica contrapposta alla tecnica. I Bianchi la prendono come una corrida, loro sono asserragliati in una ridotta. Perché prima di tutto non devono prendere gol. Perché sanno che ogni minuto di resistenza in più li fa esistere come persone, come cittadini di un paese, qualcosa di diverso dai poveri-oppressi-dalla-Stasi©, dai poveracci vestiti male che tentano con ogni mezzo di saltare il muro. Forse è vero, come dicono tutti, che la loro nazionale si salverebbe a stento nell’altra seconda divisione, ma la tecnica calcistica ha smesso di contare per loro appena si sono disposti in campo.

Ogni minuto di pareggio in più dimostra che ce ne sono almeno undici che, quella sera, non vorrebbero essere dell’Ovest. E i minuti passano, e i Bianchi si innervosiscono, non riescono a segnare e, quasi a lusingare le metafore giornalistiche, gli altri resistono giocando come collettivo.
Il mondo, o almeno metà del mondo, comincia a pensare che potrebbe riuscire il colpaccio, una partita a reti inviolate sarebbe un’umiliazione tremenda per i padroni di casa.
E poi l’impensabile.
Dopo quasi ottanta minuti di strenua resistenza si può osare, si può scoprire che Beckenbauer non intercetta ogni pallone possibile, che Vogt non arriva su ogni pallone immaginabile, che Sepp Maier può essere lasciato in ginocchio.
Che si può vincere.
Era il 22 giugno 1974 compagni.
Resistere, agire collettivamente e aspettare il 78°.